Le rappresentanze sindacali dei Poligrafici al Corriere della Sera
(estratto dalle schede introduttive a Inventario dell’Archivio sindacale
del Corriere della Sera a cura di Giancarlo Martinelli, Tesi di laurea,
Università degli studi di Pavia, a. a. 2009-2010)
Fino alla promulgazione della legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori),
al Corriere della Sera, così come nelle altre grandi fabbriche italiane, la
contrattazione aziendale era assicurata dalla presenza delle Commissioni
Interne.
Le
Commissioni interne, prima forma di rappresentanza dei lavoratori in una
unità produttiva, dopo una comparsa in forma spontanea a Schio nel 1883 e a
Torino nel 1901, vengono riconosciute per la prima volta con l’ accordo
sindacale del 27 ottobre 1906 tra la Fiom e la Ditta Itala di Torino, che
riconosceva agli operai il diritto di eleggere una commissione che, insieme
alla direzione della fabbrica, aveva il compito di risolvere “ tutte le
controversie e tutti i conflitti di qualsiasi natura". Abolite il 2 ottobre
1925 dall'accordo di Palazzo Vidoni fra Confindustria e Confederazione
delle Corporazioni Fasciste, le Commissioni interne vennero reintrodotte il
2 settembre 1943 durante il governo Badoglio. In quell'occasione venne
stipulato un accordo - il cosiddetto patto Buozzi Mazzini - fra le
Confederazioni dei lavoratori dell'industria e la Confederazione degli
industriali che reintroduceva nel campo delle relazioni industriali
l'istituto delle Commissioni interne, e attribuiva alle stesse anche poteri
di contrattazione collettiva a livello aziendale. L’accordo, ratificato
nell’ottobre 1944 dalla Cgil unitaria, prevedeva che alle elezioni delle
Commissioni interne potessero partecipare tutti i lavoratori e non
solamente, come nel periodo prefascista, gli iscritti al sindacato. Gli
accordi successivi - sottoscritti il 7 agosto 1947, l'8 maggio 1953 e il 18
aprile 1966 cercarono di limitare i compiti e i poteri delle commissioni
interne, soprattutto in materia contrattuale.
L’
accordo interconfederale del 1966 prevedeva che le Commissioni interne
venissero elette, a suffragio universale e voto segreto, nelle aziende con
più di 40 dipendenti. La ripartizione dei seggi avveniva con criterio
proporzionale. Le liste elettorali, distinte tra operai e impiegati,
potevano essere presentate da qualsiasi gruppo di lavoratori, anche non
iscritti al sindacato, tramite raccolta di firme. Il numero dei componenti
della Commissione era determinato con criterio direttamente proporzionale al
numero dei lavoratori occupati in ciascuna unità aziendale. I membri della
Commissione godevano della tutela sindacale e del diritto a non essere
licenziati o trasferiti sino a un anno dalla cessazione della carica. I
compiti erano fissati dall’articolo 3: la Commissione doveva concorrere a
mantenere i normali rapporti tra i lavoratori e la Direzione dell’azienda
per il regolare svolgimento dell’attività produttiva in uno spirito di
collaborazione e reciproca comprensione, controllare l’esatta osservanza
delle norme di legislazione sociale e di igiene e sicurezza del lavoro,
intervenire presso la Direzione per l’esatta applicazione dei contratti di
lavoro e degli accordi sindacali e infine esaminare con la Direzione
regolamenti interni, turni e orari di lavoro. Nel corso del biennio 1969
-1971 le Commissioni interne vengono sostituite da nuovi organismi: i
Consigli dei delegati o Consigli di fabbrica, sorti in seguito alle critiche
dei lavoratori al sistema di rappresentanza, giudicato da molti troppo
legato ai vincoli imposti dalle organizzazioni sindacali.
La
Commissione interna del Corriere della Sera (1945 -1971)
La
Commissione Interna del Corriere della Sera già attiva subito dopo
il 25 aprile 1945, tiene le prime elezioni a maggio durante la gestione
commissariale del Corriere: dagli esiti dello scrutinio la
Commissione di Fabbrica risulta composta da 20 membri corrispondenti ad
altrettanti reparti o mansioni, tra i quali due rappresentanti degli
impiegati e uno dei giornalisti. Sulla spinta della partecipazione delle
donne alla Resistenza e in largo anticipo rispetto alle discussioni sulla
rappresentanza di genere, sia le operaie che le impiegate pur essendo in
numero molto esiguo hanno diritto ad eleggere una propria rappresentante.
La
composizione della Commissione del maggio 1945 si discosta, tanto nei
numeri, quanto per la presenza di una rappresentanza di genere, da quella
prevista dall’ accordo del 2 settembre 1943 (Buozzi – Mazzini) che prevede
un massimo di 9 membri, senza distinzione tra i sessi. Nelle successive
elezioni, numeri e rappresentanza si adegueranno a quanto previsto dall’
accordo del 1943 e dagli accordi interconfederali del 7 agosto 1947, 8
maggio 1953 e 18 aprile 1966.
La prima
Commissione del dopoguerra, oltre ad affrontare le emergenze postbelliche, i
casi personali, le questioni salariali, si occupa anche della gestione tra i
dipendenti del referendum sull’epurazione di poligrafici e giornalisti che
si erano compromessi con il regime fascista. Tra i suoi membri annovera
attivisti comunisti, socialisti e democristiani che fanno riferimento alle
cellule di partito aziendali. Si tratta di personalità che hanno avuto un
ruolo attivo nella lotta antifascista condotta all’interno del Corriere. Tra
questi Ugo Zacchetti, responsabile della cellula comunista clandestina nel
1943 e Guido Serra, presidente del Comitato di agitazione e responsabile
della cellula del PSI.
Dall’
aprile 1949, con la nascita del Comitato di redazione, organismo di
rappresentanza dei giornalisti, istituito a livello nazionale con il
contratto di lavoro giornalistico stipulato nel 1947 tra FIEG e FNSI, la
Commissione rappresenta esclusivamente i lavoratori inquadrati nel contratto
nazionale dei poligrafici, settore quotidiani.
La sua
attività abbraccia tutta la complessa articolazione della vita aziendale:
dalla gestione della mensa al progetto di istituzione di un’ infermeria
interna, dall’organizzazione del lavoro alle attività assistenziali. In
alcune occasioni la Commissione esercita anche un’attività di controllo e
“vigilanza democratica” sulla linea politica del giornale, ben esemplificata
dai comunicati emessi nel 1946 in occasione della sostituzione del direttore
Mario Borsa con il più moderato Guglielmo Emanuel e nel 1948 nella risposta
a un articolo di Indro Montanelli apparso sul quotidiano “ L’Italia”. In
occasione del cambio del direttore la Commissione interna incontra infatti
la proprietà ottenendo la dichiarazione formale che “ il giornale, anche
con il nuovo direttore, sarà indipendente, repubblicano, democratico e
progressista”, dichiarazione che verrà ribadita in un successivo incontro
con il neodirettore Emmanuel. La portata della dichiarazione viene però
ridimensionata il 30 ottobre, quando “ i redattori del Corriere,
solidali con Emanuel, votano un ordine del giorno per affermare di non
riconoscere ad alcuno la facoltà di controllare e censurare la loro opera
della quale rispondono soltanto alla propria coscienza e al direttore del
giornale”.
Tutto il
ciclo produttivo di quotidiani e periodici rientra nelle competenze della
Commissione fino al gennaio 1962, quando viene inaugurato il nuovo
stabilimento di via Scarsellini per la stampa in rotocalco dei periodici
del Corriere. Il personale del nuovo stabilimento, infatti,
inquadrato in un diverso contratto, quello dei grafici periodici, adotterà
una nuova e autonoma rappresentanza di fabbrica che continuerà a lavorare,
in coordinamento con la rappresentanza di via Solferino sui temi
riguardanti ambedue gli insediamenti produttivi. Nel 1961 “le correnti
sindacali che concorrono alla formazione della Commissione Interna”,
composta di 7 membri, 5 operai e 2 impiegati, in carica per un anno, “sono
le Confederazioni dei poligrafici di CGIL, CISL e UIL”.
L’ultimo
verbale di scrutinio presente nell’archivio sindacale mostra che nel 1969 il
numero dei componenti della Commissione sale a 9, in seguito all’incremento
di due rappresentanti degli impiegati.
Dal 1945 al
1969 la partecipazione dei lavoratori al voto è sempre molto alta, così come
sono sostanzialmente costanti i rapporti di forza tra le tre organizzazioni
sindacali, ben rappresentati dal dato del 1969: i votanti sono 1422 su 1518
aventi diritto e la Cgil risulta la prima organizzazione con 697 voti,
seguita da Cisl e Uil accreditate di 335 e 241 voti. Tra i motivi della
costante partecipazione dei lavoratori vi sono sicuramente l’efficacia
dell’azione sindacale, tanto dal punto di vista delle condizioni
retributive, quanto da quello delle condizioni di lavoro, ma anche un alto
tasso di politicizzazione e sindacalizzazione dei lavoratori, grazie al
costante lavoro di proselitismo e di informazione dei nuclei aziendali di
PCI, DC, PSI, i cui iscritti e dirigenti sono quasi sempre anche attivisti e
dirigenti sindacali. La Commissione interna del Corriere viene sostituita
tra la fine del 1971 e l’inizio del 1972 dal Consiglio di Fabbrica.
I
Consigli di Fabbrica
La nascita
dei Consigli di fabbrica, organismi di rappresentanza sindacale dei
lavoratori a livello aziendale che sostituiscono le Commissioni interne,
avviene alla fine degli anni Sessanta. In quel periodo, in seguito alla
diffusione nella società italiana dei fermenti rivoluzionari e delle spinte
verso un cambiamento sociale in senso egualitario e antiautoritario, nate
con il maggio Sessantotto in Francia, tutte le forme dell’organizzazione
sociale vengono messe in discussione all’interno di un quadro di generale
rifiuto delle gerarchie generazionali. Nelle fabbriche, in particolare,
vengono messe in discussione: l’ organizzazione del lavoro e i suoi tempi,
il sistema di rappresentanza dei lavoratori, giudicato da molti troppo
legato ai vincoli imposti dalle organizzazioni sindacali; il sistema dei
diritti individuali; le divisioni tra i lavoratori basate su scala
gerarchica, professionale, generazionale, culturale. Con la vertenza per il
rinnovo del contratto dei metalmeccanici dell’autunno 1969 si apre una
stagione di lotte sindacali che produce cambiamenti sostanziali nelle forme
della rappresentanza dei lavoratori e considerevoli conquiste in campo
legislativo.
Il 20
maggio 1970, viene infatti ratificata la Legge 300, nota come "Statuto dei
lavoratori": in essa vengono introdotte per legge le Rappresentanze
Sindacali Aziendali, nominate dalle Organizzazioni sindacali e il diritto di
Assemblea. Lo Statuto crea inoltre un sistema coerente di tutela dei diritti
individuali dei lavoratori, dal divieto di licenziamento senza giusta causa
al divieto di ogni forma di discriminazione religiosa, sindacale e politica.
Contemporaneamente, nel corso del biennio 1969-1971 le Commissioni interne,
in genere elette sulla base di liste approvate dalle organizzazioni
sindacali vengono sostituite da nuovi organismi: i Consigli dei delegati o
Consigli di fabbrica. I Consigli sono incentrati sulla figura del delegato,
lavoratore che, eletto a suffragio universale su scheda bianca, rappresenta
un reparto o gruppo operaio omogeneo, indipendentemente dall’appartenenza a
un sindacato. I delegati “troppo numerosi per potersi trasformare in
dipendenti privilegiati esonerati di fatto dal lavoro, restano operai come
gli altri, conservando con i loro elettori un rapporto quotidiano che
assicura una rappresentatività reale”(1). Le circostanze della loro nascita
si differenziano sensibilmente da azienda a azienda, così come il rapporto
che si instaura tra consigli e organizzazioni sindacali. Secondo lo storico
Sergio Turone “ il nuovo istituto, nato in contrapposizione al sindacalismo
tradizionale, vi si è inserito poi nella misura in cui lo ha condizionato”
(2). La complessità e non univocità della genesi dei Consigli di fabbrica è
sottolineata anche da Antonio Pizzinato, segretario generale della Cgil dal
1986 al 1988: “ In molte grandi aziende di antica tradizione e forza
sindacale, furono le stesse commissioni interne -1969/1971- ad essere
promotrici dell’elezione dei delegati. Gli stessi componenti delle
Commissioni interne fecero parte del primo Consiglio di fabbrica sino al
primo rinnovo dei Consigli di fabbrica. Così molti Statuti erano frutto
della complessa “ storia sindacale” di quella data azienda, oltreché delle
sue caratteristiche produttive e professionali” (3). Dopo una prima fase
nella quale molti consigli si costituiscono sulla spinta della base operaia
i sindacati confederali accolgono i nuovi
organismi come struttura di base della propria organizzazione. Si tratta di
un processo che avviene inizialmente attraverso l’emanazione di note
operative su compiti e modalità di elezione dei Consigli da parte di
singole federazioni di categoria. In seguito il Patto Federativo stretto
tra Cgil, Cisl e Uil il 3 luglio 1972 riconosce i Consigli come “’istanza
sindacale di base con poteri di contrattazione sui posti di lavoro… alla
[loro] formazione concorrono in primo luogo gli iscritti alle tre
Confederazioni e i lavoratori non iscritti che, su iniziativa delle stesse,
per loro libera scelta intendono parteciparvi: pertanto in tale organismo e,
dove esiste, nell’esecutivo deve essere assicurata la rappresentanza delle
forze sindacali che operano nell’azienda stessa e che costituiscono la
Federazione”.
I Consigli
svolgono la loro attività sino agli inizi degli anni Novanta, quando, a
partire dal 1993 vengono progressivamente sostituiti da un nuovo organismo,
le Rappresentanze sindacali unitarie (RSU), istituite da Cgil Cisl e Uil
con l’ Intesa quadro il del 1° marzo 1991.
Elette a scrutinio segreto e su liste di organizzazione, da tutti i
lavoratori aventi diritto, le RSU vengono
recepite dal Governo per l’area del pubblico impiego e dalla
Confindustria per il settore privato nel Protocollo del 23 luglio 1993.
Dalla firma dell’accordo alla fine del 1994 vengono poi siglati , quattro
accordi interconfederali per disciplinarne l’introduzione nei diversi
settori produttivi. A differenza del settore pubblico dove le
rappresentanze sono interamente elettive per i lavoratori del settore
privato la composizione delle nuove rappresentanze deriva per 2/3 da
elezione da parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione
da parte delle organizzazioni stipulanti il CCNL, che hanno presentato
liste, in proporzione ai voti ottenuti.
Il
Consiglio di fabbrica del Corriere della Sera (1971 – 1993)
Il
Consiglio di fabbrica del Corriere della Sera viene istituito alla fine del
1971 su iniziativa della Commissione interna uscente in base alle modalità
di elezione e funzionamento dei nuovi organismi di rappresentanza aziendale
definite dai sindacati provinciali dei Poligrafici e Cartai di Milano nella
Nota operativa per la costituzione del Consiglio di fabbrica, del 15
settembre 1971. La nascita ufficiale del nuovo organismo, che rappresenta
tutti i lavoratori del Corriere della Sera inquadrati nel Contratto
nazionale dei poligrafici e delle agenzie di stampa, viene sancita il 2
novembre 1971 con l’approvazione da parte dell’assemblea dei lavoratori del
documento “ Costituzione del Consiglio di Fabbrica “, contenente
statuti, regolamento e programma del nuovo organismo. La parte
programmatica di questo documento riassume in poche pagine tutti i temi
della discussione politico sindacale del tempo: lotta alla nocività e difesa
della salute in fabbrica; difesa dell’occupazione; politiche sociali;
salario aziendale diretto (retributivo) e indiretto (normativo);
inquadramento unico e perequazione delle differenze normative e salariali
esistenti tra operai e impiegati.
La parte
statutaria stabilisce le norme di funzionamento ed elezione del nuovo
organismo. Il Consiglio dura in carica due anni e risulta composto dai
delegati di gruppo omogeneo, “eletti su scheda bianca in ragione di 1 ogni
50 lavoratori”, compreso un rappresentante per gli uffici di Roma e Napoli,
e dai Rappresentanti sindacali (RSA) che vengono nominati dalle sezioni
sindacali in ragione di 6 per corrente. Le due cariche, “entrambe sul piano
di assoluta parità,” sono incompatibili, mentre il delegato è revocabile in
qualsiasi momento dall’assemblea che lo ha eletto. Il Consiglio di Fabbrica
nomina un Comitato Esecutivo, con durata di un anno, di fatto controllato
dalle Organizzazioni sindacali poiché risulta “composto di 15 membri di cui
6 delegati e 3 RAS per corrente” .
Le prime
elezioni si tengono alla fine del 1971. Il nuovo organismo è composto da 44
delegati e 18 rappresentanti sindacali, tra i quali figurano tutti i leader
della Commissione Interna uscente: Guerrino Bellinzani e Dante Gatti per la
CGIL, Giancarlo Buscaglia per la Uil e Giulio Intiglietta per la Cisl.
Il 15
febbraio 1972 viene siglato con l’Azienda Corriere della Sera il
protocollo di riconoscimento del Consiglio di Fabbrica, che estende a tutti
membri le tutele previste dallo Statuto dei lavoratori, determina il monte
ore permessi disponibile e conferma, come condizione di miglior favore,
l’istituto già esistente dei Fuori Organico. Si tratta di un organismo
composto da 4 membri del comitato esecutivo, scelti con criterio di
preferenza per i delegati di gruppo omogeneo, che vengono sollevati dagli
obblighi del lavoro in fabbrica, per consentire l’espletamento del lavoro
sindacale. I Fuori Organico, rappresentano il vero e proprio esecutivo
poiché svolgono compiti di ordinaria amministrazione e di organizzazione
della contrattazione aziendale e mantengono i rapporti con la controparte
aziendale e le organizzazioni sindacali.
Le
successive modifiche statutarie sono documentate dalle carte delle Serie
Elezioni, statuti, regolamenti e Notes dei Coordinatori del Consiglio
di Fabbrica.. Il cambiamento più significativo avviene già con le
elezioni del 1974: i RAS (o RSA) scendono a 12 e il rapporto con i delegati
nel comitato esecutivo viene ribaltato a favore di questi ultimi, che
divengono 9 con 6 rappresentanti sindacali. In seguito si registra una
costante azione della Cgil volta alla diminuzione o anche alla totale
eliminazione dei RAS che scenderanno a 9 nel 1978 e a 6 nel 1980, per poi
stabilizzarsi definitivamente a 9. Anche il comitato esecutivo viene
ridimensionato: sarà composto da un numero di membri oscillante tra i 9 e i
12 sempre con rapporto favorevole ai delegati di gruppo omogeneo
Il 23
giugno 1989, l’assemblea del Consiglio di fabbrica decide di costituire un
unico organismo di rappresentanza che comprende, oltre ai delegati eletti
nella sede di Roma, anche quelli del nuovo stabilimento di Rcs Quotidiani
di Padova.
Nel 1991
l’accordo siglato il 1° marzo tra Cgil Cisl e Uil che prevede la creazione
di una nuova forma di rappresentanza sindacale aziendale, le Rappresentanze
Sindacali Unitarie (RSU), apre la crisi del Consiglio di fabbrica. I
delegati si dividono sulla scelta se procedere alle nuove elezioni,
previste a maggio, tenendo conto dell’accordo stretto tra le tre
Confederazioni sindacali, oppure proseguire secondo le modalità consuete.
Nonostante la posizione fortemente critica della Cisl aziendale che sfocerà
in aperto dissenso nel corso dell’anno successivo, l’assemblea del Consiglio
di fabbrica opta per il rinnovo dell’organismo. La decisione, presa a
maggioranza, non è senza conseguenze. La fine del Consiglio matura in un
clima di crescente tensione tra le Organizzazioni sindacali aziendali, in
particolare tra Cgil e Cisl. Il ruolo di primo piano assunto nell’autunno
1992 dal Consiglio di fabbrica del Corriere nella protesta del
Movimento dei Consigli Unitari (4) contro la manovra finanziaria del governo
Amato e la carenza di democrazia sindacale, spinge la Cisl, in dissenso con
l’iniziativa, a ritirare i propri delegati il 3 febbraio 1993. Subito dopo
giunge la disdetta di tutti gli accordi in materia di rappresentanza da
parte della direzione di Rcs Quotidiani (5). Dopo un periodo di trattative
tra sindacati aziendali e territoriali, il 27 settembre 1993 le assemblee
generali approvano con 9 voti contrari il regolamento della nuova RSU di Rcs
Quotidiani Milano che viene eletta a novembre dello stesso anno in
sostituzione del decaduto Consiglio di fabbrica.
A partire
da luglio 2014, con il conferimento dello stabilimento di stampa di Pessano
con Bornago alla neonata società Rcs Produzioni Milano, controllata al 100%
da Rcs Mediagroup, si costituisce una specifica rappresentanza per lo
stabilimento, mentre Rsu Quotidiani continua a rappresentare il resto dei
lavoratori dediti alla produzione e promozione dei quotidiani del gruppo
Rcs, inclusi i lavoratori del comparto inquadrati con contratto Grafici
Editoriali in forza di accordi o per mobilità interna. Con il rinnovo delle
Rsu del Gruppo nell 2018 a questi ultimi viene riconosciuto dai Sindacati
Territoriali il diritto di elettorato attivo e passivo all'interno della RSU
di Rcs Mediagroup, rappresentante le altre realtà milanesi del Gruppo Rcs
inquadrate nel contratto Grafici Editoriali.
5 Cfr. Archivio Sindacale
Corriere della Sera, Serie 1 : “Statuti, elezioni, regolamenti”, Unità 2
“Caducamento Consiglio di fabbrica”.
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La RSU
Quotidiani in
carica, eletta ad agosto 2023, è composta da 6 delegati.