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08-08-18

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Le rappresentanze sindacali dei Poligrafici al Corriere della Sera

(estratto dalle schede introduttive a Inventario dell’Archivio sindacale del Corriere della Sera a cura di Giancarlo Martinelli, Tesi di laurea, Università degli studi di Pavia, a. a. 2009-2010)

Fino alla promulgazione della legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), al Corriere della Sera,  così come nelle altre grandi fabbriche italiane, la contrattazione aziendale era assicurata dalla presenza delle Commissioni Interne.

  Le Commissioni interne,  prima forma di rappresentanza dei lavoratori in una unità produttiva, dopo una  comparsa in forma spontanea a Schio nel 1883 e a Torino nel 1901, vengono riconosciute per la prima volta con l’ accordo sindacale del 27 ottobre 1906 tra la Fiom e la Ditta Itala di Torino, che riconosceva agli operai il diritto di eleggere una commissione che, insieme alla direzione della fabbrica, aveva il compito di risolvere “ tutte le controversie e tutti i conflitti di qualsiasi natura". Abolite il 2 ottobre 1925 dall'accordo di  Palazzo Vidoni fra Confindustria e Confederazione delle Corporazioni Fasciste, le Commissioni interne  vennero reintrodotte il 2 settembre 1943 durante il governo Badoglio. In quell'occasione venne stipulato un accordo - il cosiddetto patto Buozzi Mazzini - fra le Confederazioni dei lavoratori dell'industria e la Confederazione degli industriali che reintroduceva nel campo delle relazioni industriali l'istituto delle Commissioni interne, e attribuiva alle stesse anche poteri di contrattazione collettiva a livello aziendale.  L’accordo, ratificato nell’ottobre 1944 dalla Cgil unitaria, prevedeva che alle elezioni delle Commissioni interne potessero partecipare  tutti i lavoratori e non solamente, come nel periodo prefascista, gli iscritti al sindacato.  Gli accordi successivi - sottoscritti il 7 agosto 1947, l'8 maggio 1953 e il 18 aprile 1966  cercarono di limitare  i compiti e i poteri delle commissioni interne, soprattutto in materia contrattuale. 

L’ accordo interconfederale del 1966 prevedeva che le Commissioni interne venissero elette, a suffragio universale e  voto segreto, nelle aziende con più di 40 dipendenti. La ripartizione dei seggi avveniva con criterio  proporzionale. Le liste elettorali, distinte tra operai e impiegati,  potevano essere presentate da qualsiasi gruppo di lavoratori, anche non iscritti al sindacato, tramite raccolta di firme. Il numero dei componenti della Commissione era determinato con criterio direttamente proporzionale al numero dei lavoratori occupati in ciascuna unità aziendale. I membri della Commissione godevano della tutela sindacale e del diritto a non essere  licenziati o trasferiti sino a un anno dalla cessazione della carica.  I compiti erano fissati dall’articolo 3:  la Commissione doveva concorrere a mantenere i normali rapporti tra i lavoratori e la Direzione dell’azienda per il regolare svolgimento dell’attività produttiva in uno spirito di collaborazione e reciproca comprensione, controllare l’esatta osservanza delle norme di legislazione sociale e di igiene e sicurezza del lavoro, intervenire presso la Direzione per l’esatta applicazione dei contratti di lavoro e degli accordi sindacali e infine esaminare con la Direzione regolamenti interni, turni e orari di lavoro. Nel corso del biennio 1969 -1971 le Commissioni interne vengono sostituite da nuovi organismi: i Consigli dei delegati o Consigli di fabbrica, sorti in seguito alle critiche dei lavoratori al  sistema di rappresentanza, giudicato da molti troppo legato ai vincoli imposti dalle organizzazioni sindacali

 

La Commissione interna del Corriere della Sera  (1945 -1971) 

La Commissione Interna del Corriere della Sera  già attiva subito dopo il 25 aprile 1945, tiene le prime elezioni a maggio durante la gestione commissariale del Corriere: dagli esiti dello scrutinio la  Commissione di Fabbrica risulta composta da 20 membri corrispondenti ad altrettanti reparti o mansioni, tra i quali due rappresentanti degli impiegati e uno dei giornalisti. Sulla spinta della partecipazione delle donne alla Resistenza e in largo anticipo rispetto alle discussioni sulla rappresentanza di genere, sia le operaie che le impiegate pur essendo in numero molto esiguo hanno diritto ad eleggere una propria rappresentante. 

La composizione della Commissione del maggio 1945 si discosta, tanto nei numeri, quanto per la presenza di una rappresentanza di genere, da quella prevista dall’ accordo del 2 settembre 1943 (Buozzi – Mazzini) che prevede un massimo di 9 membri, senza distinzione tra i sessi. Nelle successive elezioni, numeri e rappresentanza si adegueranno a quanto previsto dall’ accordo del 1943 e dagli accordi interconfederali del  7 agosto 1947,  8 maggio 1953 e  18 aprile 1966. 

La prima Commissione del dopoguerra, oltre ad affrontare le emergenze postbelliche, i casi personali, le questioni salariali, si occupa anche della gestione tra i dipendenti del referendum sull’epurazione di poligrafici e giornalisti che si erano compromessi con il regime fascista. Tra i suoi membri annovera attivisti comunisti, socialisti e democristiani che fanno riferimento alle cellule di partito aziendali. Si tratta di personalità che hanno avuto un ruolo attivo nella lotta antifascista condotta all’interno del Corriere. Tra questi Ugo Zacchetti, responsabile della cellula comunista clandestina nel 1943 e Guido Serra,  presidente del Comitato di agitazione e responsabile della cellula del PSI.

Dall’ aprile 1949, con la nascita del Comitato di redazione, organismo di rappresentanza dei giornalisti, istituito a livello nazionale con il contratto di lavoro giornalistico stipulato nel 1947 tra FIEG e FNSI, la Commissione rappresenta esclusivamente i lavoratori inquadrati nel contratto nazionale dei poligrafici, settore quotidiani.

La sua attività abbraccia tutta la complessa articolazione della vita aziendale: dalla gestione della mensa al progetto di istituzione di un’ infermeria interna, dall’organizzazione del lavoro alle attività assistenziali. In alcune occasioni la Commissione esercita anche un’attività di controllo e “vigilanza democratica” sulla linea politica del giornale, ben esemplificata dai comunicati emessi nel 1946 in occasione della sostituzione del direttore Mario Borsa con il più moderato Guglielmo Emanuel e nel 1948 nella risposta a un articolo di Indro Montanelli apparso sul quotidiano “ L’Italia”. In occasione del cambio del direttore la Commissione interna incontra infatti la proprietà ottenendo la  dichiarazione  formale che “ il giornale, anche con  il nuovo direttore, sarà indipendente, repubblicano, democratico e progressista”, dichiarazione che verrà ribadita in un successivo incontro con il neodirettore Emmanuel. La portata della dichiarazione viene però ridimensionata il 30 ottobre, quando “ i redattori del Corriere, solidali con Emanuel, votano un ordine del giorno per affermare di non riconoscere ad alcuno la facoltà di controllare e censurare la loro opera della quale rispondono soltanto alla propria coscienza e al direttore del giornale”.

Tutto il ciclo produttivo di quotidiani e periodici rientra nelle competenze della Commissione fino al gennaio 1962, quando viene inaugurato il nuovo stabilimento di via  Scarsellini per la stampa in rotocalco dei periodici del Corriere. Il personale del nuovo stabilimento, infatti,  inquadrato in un diverso contratto, quello dei grafici periodici, adotterà una nuova e autonoma rappresentanza di fabbrica che continuerà a  lavorare, in coordinamento con la rappresentanza  di via Solferino sui temi riguardanti ambedue gli insediamenti produttivi. Nel 1961 “le correnti sindacali che concorrono alla formazione della Commissione Interna”, composta di 7 membri, 5 operai e 2 impiegati,  in carica per un anno, “sono le Confederazioni dei poligrafici di CGIL, CISL e UIL”.

L’ultimo verbale di scrutinio presente nell’archivio sindacale mostra che nel 1969 il numero dei componenti della Commissione sale a 9, in seguito all’incremento di due rappresentanti degli impiegati.

Dal 1945 al 1969 la partecipazione dei lavoratori al voto è sempre molto alta, così come sono sostanzialmente costanti i rapporti di forza tra le tre organizzazioni sindacali, ben rappresentati dal dato del 1969: i votanti sono 1422 su 1518 aventi diritto e la Cgil risulta la prima organizzazione con 697 voti, seguita da Cisl e Uil accreditate di 335 e 241 voti. Tra i motivi della costante partecipazione dei lavoratori vi sono sicuramente l’efficacia dell’azione sindacale, tanto dal punto di vista delle condizioni retributive, quanto da quello delle condizioni di lavoro, ma anche un alto tasso di politicizzazione e sindacalizzazione dei lavoratori, grazie al costante lavoro di proselitismo e di informazione  dei nuclei aziendali di PCI, DC, PSI, i cui iscritti e dirigenti sono quasi sempre anche attivisti e dirigenti sindacali. La Commissione interna del Corriere viene sostituita tra la fine del 1971 e l’inizio del 1972 dal Consiglio di Fabbrica.  

I Consigli di Fabbrica 

La nascita dei Consigli di fabbrica, organismi di rappresentanza sindacale dei lavoratori a livello aziendale  che sostituiscono le Commissioni interne, avviene alla fine degli anni Sessanta. In quel periodo, in seguito alla diffusione  nella società italiana dei fermenti rivoluzionari e delle spinte verso un cambiamento sociale in senso egualitario e antiautoritario, nate con il maggio Sessantotto in Francia, tutte le forme dell’organizzazione sociale vengono messe in discussione all’interno di un quadro di generale rifiuto delle gerarchie generazionali. Nelle fabbriche, in particolare, vengono  messe in discussione: l’ organizzazione del lavoro e i suoi tempi, il sistema di rappresentanza dei lavoratori, giudicato da molti troppo legato ai vincoli imposti dalle organizzazioni sindacali; il sistema dei diritti individuali; le divisioni tra i lavoratori basate su scala gerarchica, professionale, generazionale, culturale. Con la vertenza  per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici dell’autunno 1969 si apre una stagione di lotte sindacali che produce cambiamenti sostanziali nelle forme della rappresentanza dei lavoratori e considerevoli conquiste in campo legislativo.

Il 20 maggio 1970, viene infatti  ratificata la Legge 300, nota come "Statuto dei lavoratori":  in essa  vengono introdotte per legge le Rappresentanze Sindacali Aziendali, nominate dalle Organizzazioni sindacali e il diritto di Assemblea. Lo Statuto crea inoltre un sistema coerente di tutela dei diritti individuali dei lavoratori, dal divieto di licenziamento senza giusta causa  al divieto di ogni forma di discriminazione religiosa, sindacale e politica.

Contemporaneamente, nel corso del biennio 1969-1971 le Commissioni interne, in genere  elette sulla base di liste approvate dalle organizzazioni sindacali  vengono sostituite da nuovi organismi: i Consigli dei delegati o Consigli di fabbrica. I Consigli sono incentrati sulla figura del delegato, lavoratore che, eletto a suffragio universale su scheda bianca, rappresenta un reparto o gruppo operaio omogeneo, indipendentemente dall’appartenenza a un sindacato. I delegati “troppo numerosi per potersi trasformare in dipendenti privilegiati esonerati di fatto dal lavoro, restano operai come gli altri, conservando con i loro elettori un rapporto quotidiano che assicura una rappresentatività reale”(1). Le circostanze della loro nascita si differenziano sensibilmente da azienda a azienda, così come il rapporto che si instaura tra consigli e organizzazioni sindacali. Secondo lo storico Sergio Turone “ il nuovo istituto, nato in contrapposizione al sindacalismo tradizionale, vi si è  inserito poi nella misura in cui lo ha condizionato” (2). La complessità e non univocità della genesi dei Consigli di fabbrica è sottolineata anche da  Antonio Pizzinato, segretario generale della Cgil dal 1986 al 1988: “ In molte grandi aziende di antica tradizione e forza sindacale, furono le stesse commissioni interne -1969/1971- ad essere promotrici dell’elezione dei delegati. Gli stessi componenti delle Commissioni interne fecero parte del primo Consiglio di fabbrica sino al primo rinnovo dei Consigli di fabbrica. Così molti Statuti erano frutto della complessa “ storia sindacale” di quella data azienda, oltreché delle sue caratteristiche produttive e professionali” (3).  Dopo una prima fase nella quale molti consigli si costituiscono sulla spinta della base operaia i sindacati confederali accolgono i nuovi organismi come struttura di base della propria organizzazione. Si tratta di un processo che avviene inizialmente attraverso l’emanazione di note operative su compiti e modalità di  elezione dei Consigli da parte di singole federazioni di categoria.  In seguito il  Patto Federativo stretto tra Cgil, Cisl e Uil il 3 luglio 1972 riconosce i Consigli come “’istanza sindacale di base con poteri di contrattazione sui posti di lavoro… alla [loro] formazione concorrono in primo luogo gli iscritti alle tre Confederazioni e i lavoratori non iscritti che, su iniziativa delle stesse, per loro libera scelta intendono parteciparvi: pertanto in tale organismo e, dove esiste, nell’esecutivo deve essere assicurata la rappresentanza delle forze sindacali che operano nell’azienda stessa e che costituiscono la Federazione”.

I Consigli svolgono la loro attività sino agli inizi degli anni Novanta, quando, a partire dal 1993 vengono progressivamente sostituiti da un nuovo organismo,  le Rappresentanze sindacali unitarie (RSU), istituite da Cgil Cisl e Uil con l’ Intesa quadro il del 1° marzo 1991. Elette a scrutinio segreto e su liste di organizzazione, da tutti i lavoratori  aventi diritto, le RSU vengono recepite dal Governo per l’area del pubblico impiego e dalla Confindustria per il settore privato nel Protocollo del 23 luglio 1993. Dalla firma dell’accordo alla fine del 1994 vengono poi siglati , quattro accordi interconfederali per disciplinarne l’introduzione nei diversi settori produttivi. A  differenza del settore pubblico dove le rappresentanze sono interamente elettive  per i lavoratori del settore privato la composizione delle nuove rappresentanze deriva per 2/3 da elezione da parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione da parte delle organizzazioni stipulanti il CCNL, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti.

 

Il Consiglio di fabbrica del Corriere della Sera  (1971 – 1993) 

Il Consiglio di fabbrica del Corriere della Sera viene istituito alla fine del 1971 su iniziativa della Commissione interna uscente in base alle  modalità di elezione e funzionamento dei nuovi organismi di rappresentanza aziendale definite dai sindacati provinciali dei Poligrafici e Cartai di Milano nella  Nota operativa per la costituzione del Consiglio di fabbrica, del 15 settembre 1971. La nascita ufficiale del nuovo organismo, che rappresenta tutti i lavoratori del Corriere della Sera inquadrati nel Contratto nazionale dei poligrafici e delle agenzie di stampa, viene sancita il 2 novembre 1971 con l’approvazione da parte dell’assemblea dei lavoratori del documento “ Costituzione del Consiglio di Fabbrica “, contenente statuti, regolamento e programma del nuovo organismo. La parte programmatica  di questo documento riassume in poche pagine tutti i temi della discussione politico sindacale del tempo: lotta alla nocività e difesa della salute in fabbrica; difesa dell’occupazione; politiche sociali; salario aziendale diretto (retributivo) e indiretto (normativo); inquadramento unico e perequazione delle differenze normative e salariali esistenti tra operai e impiegati.

La parte statutaria stabilisce  le norme di funzionamento ed elezione del nuovo organismo. Il Consiglio  dura in carica due anni e  risulta composto dai delegati di gruppo omogeneo, “eletti su scheda bianca in ragione di 1 ogni 50 lavoratori”,  compreso un rappresentante per gli uffici di Roma e Napoli, e dai Rappresentanti sindacali (RSA) che vengono nominati dalle sezioni sindacali in ragione di 6 per corrente. Le due cariche, “entrambe sul piano di assoluta parità,” sono incompatibili, mentre il delegato è revocabile in qualsiasi momento dall’assemblea che lo ha eletto. Il Consiglio di Fabbrica nomina  un Comitato Esecutivo, con durata di un anno, di fatto controllato dalle Organizzazioni sindacali poiché risulta “composto di 15 membri di cui 6 delegati e 3 RAS per corrente” .

Le prime elezioni si tengono alla fine del 1971. Il nuovo organismo è composto da 44 delegati e 18 rappresentanti sindacali, tra i quali figurano tutti i leader della Commissione Interna uscente: Guerrino Bellinzani e Dante Gatti per la CGIL, Giancarlo Buscaglia per la Uil e Giulio Intiglietta per la Cisl.

Il 15 febbraio 1972 viene siglato con l’Azienda Corriere della Sera il protocollo di riconoscimento del Consiglio di Fabbrica, che estende a tutti membri le tutele previste dallo Statuto dei lavoratori, determina il monte ore permessi disponibile e conferma, come condizione di miglior favore, l’istituto già esistente dei Fuori Organico. Si tratta di un organismo composto da 4 membri del comitato esecutivo, scelti con criterio di preferenza per i delegati di gruppo omogeneo,  che vengono sollevati dagli obblighi del lavoro in fabbrica,  per consentire l’espletamento del lavoro sindacale. I Fuori Organico, rappresentano il vero e proprio esecutivo poiché svolgono compiti di ordinaria amministrazione e di organizzazione della contrattazione aziendale e  mantengono i rapporti con la controparte aziendale e le organizzazioni sindacali.

Le successive modifiche statutarie sono documentate dalle carte delle Serie Elezioni, statuti, regolamenti e Notes dei Coordinatori del Consiglio di Fabbrica..  Il cambiamento più significativo avviene già con le elezioni del 1974:  i RAS (o RSA) scendono a 12 e il rapporto con i delegati nel comitato esecutivo viene ribaltato a favore di questi ultimi, che divengono 9 con 6 rappresentanti sindacali. In seguito si registra una costante azione della Cgil volta alla diminuzione o anche alla totale eliminazione dei RAS che scenderanno a 9 nel 1978 e a 6 nel 1980, per poi stabilizzarsi definitivamente a 9. Anche il comitato esecutivo viene ridimensionato: sarà composto da un numero di membri oscillante tra i 9 e i 12 sempre con rapporto favorevole ai delegati di gruppo omogeneo

Il 23 giugno 1989, l’assemblea del Consiglio di fabbrica decide di costituire un unico organismo di rappresentanza che comprende, oltre ai delegati eletti nella sede  di Roma,  anche quelli del nuovo stabilimento di Rcs Quotidiani di Padova.

Nel 1991 l’accordo siglato il 1° marzo tra Cgil Cisl e Uil che prevede la creazione di una nuova forma di rappresentanza sindacale aziendale,  le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU),  apre la crisi del Consiglio di fabbrica.  I delegati si dividono sulla scelta se  procedere alle nuove elezioni, previste a maggio, tenendo conto dell’accordo stretto tra le tre Confederazioni sindacali, oppure proseguire secondo le modalità consuete. Nonostante la posizione fortemente critica della Cisl aziendale che sfocerà in aperto dissenso nel corso dell’anno successivo, l’assemblea del Consiglio di fabbrica opta per il rinnovo dell’organismo.  La decisione,  presa a maggioranza, non è senza conseguenze. La fine del Consiglio matura in un clima di crescente tensione  tra le Organizzazioni sindacali aziendali,  in particolare tra Cgil e Cisl.  Il ruolo di primo piano assunto nell’autunno 1992 dal Consiglio di fabbrica del Corriere nella protesta  del   Movimento dei Consigli Unitari (4) contro la manovra finanziaria del governo Amato e la carenza di democrazia sindacale, spinge la Cisl, in  dissenso con l’iniziativa,  a ritirare i propri delegati il 3 febbraio 1993. Subito dopo giunge la disdetta di tutti gli accordi in materia di rappresentanza da parte della direzione di Rcs Quotidiani (5). Dopo un periodo di trattative tra sindacati aziendali e territoriali, il  27 settembre 1993 le assemblee generali approvano con 9 voti contrari il regolamento della nuova RSU di Rcs Quotidiani Milano che viene eletta a novembre dello stesso anno in sostituzione del decaduto Consiglio di fabbrica.

A partire da luglio 2014, con il conferimento dello stabilimento di stampa di Pessano con Bornago alla neonata società Rcs Produzioni Milano, controllata al 100% da Rcs Mediagroup, si costituisce una specifica rappresentanza per lo stabilimento, mentre Rsu Quotidiani continua a rappresentare il resto dei lavoratori dediti alla produzione e promozione dei quotidiani del gruppo Rcs, inclusi i lavoratori del comparto inquadrati con contratto Grafici Editoriali in forza di accordi o per mobilità interna. Con il rinnovo delle Rsu del Gruppo nell 2018 a questi ultimi viene riconosciuto dai Sindacati Territoriali il diritto di elettorato attivo e passivo all'interno della RSU di Rcs Mediagroup, rappresentante le altre realtà milanesi del Gruppo Rcs inquadrate nel contratto Grafici Editoriali.

 

 

1  Cfr. S. Turone, Storia del sindacato in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1998, urone, cit. p. 398.

2  Turone, cit. p.398.

3  Antonio Pizzinato, introd. a:  M. Bergamaschi, Statuti dei consigli di fabbrica : il settore metalmeccanico milanese, 1970-1980 , Milano, F. Angeli, CERISS-FIOM 1986,  p.8.

4  Cfr. Archivio Sindacale Corriere della Sera, Serie: “Movimento dei consigli unitari”.

5 Cfr. Archivio Sindacale Corriere della Sera,  Serie 1 : “Statuti, elezioni,  regolamenti”, Unità 2 “Caducamento Consiglio di fabbrica”.

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La RSU Quotidiani in carica, eletta a febbraio 2018, è composta da 9 delegati compresi i due delegati alla sicurezza ( Rls ). 

 

 

Ultimo aggiornamento: 08-08-18